tornano i volontari dalle nostre missioni…

 

Iniziamo la pubblicazione delle relazioni, condivisioni, riflessioni che gli amici che in questa estate sono stati nelle nostre missioni ci hanno inviato.

Stefania e Gianluca a Maimelane

La nostra esperienza di volontariato in Mozambico.

  

Stefania in una cappella-escoliña coi bimbi che la frequentano  Gianluca anche lui attorniato da un gruppo di piccoli alunni di una escoliña

Normale è quantificare il proprio grado di soddisfazione al ritorno da un viaggio, ma se quest’ultimo, al momento della partenza, rappresentava la realizzazione di un sogno, allora sono dovute anche alcune riflessioni. Precedentemente – se pur come turisti – avevamo già visitato i cosiddetti paesi poveri e da tempo desideravamo condividere un’esperienza che ci consentisse non solo di osservare bensì conoscere, capire e  vivere quelle realtà così diverse. Accogliemmo pertanto con estrema gioia la possibilità offertaci da don Carlo di trascorrere le nostre ferie presso la missione cattolica di Maimelane in Mozambico. Partimmo con un unico timore, quello di non essere in grado di comunicare, causa la nostra conoscenza veramente elementare della lingua portoghese ma, giunti a destinazione, ci rendemmo subito conto che il linguaggio più espressivo è quello del cuore e che, pur quando utilizzavamo vocaboli o verbi non corretti, i gesti erano quelli che contavano. L’aiutare fin da subito nelle azioni quotidiane ci ha consentito di integrarci, di apprezzare l’inestimabile lavoro che i missionari svolgono, oltre che di conoscere la gente del posto, persone fantastiche che, nonostante le innumerevoli difficoltà, lottano dignitosamente per un domani migliore. Purtroppo lì le priorità sono altre e molto spesso i pensieri sul futuro devono essere accantonati perché il problema è l’oggi. Tutti, attorno alla missione, vivono in piccole capanne di terra e paglia, senza acqua né luce; molti possono permettersi un solo pasto al giorno e, se malati, non possono spesso curarsi perché lontani dall’ospedale o senza la possibilità economica di raggiungerlo; eppure il sorriso sui loro volti è disarmante, la loro generosità commuovente. Il problema dell’AIDS è diffuso e la povertà estrema, cosicché sono molte le mamme che ricevono dalla missione latte in polvere e alimenti di sostentamento, molti i bambini o ragazzi che – rimasti soli – chiedono di poter fare qualche lavoretto in cambio di una piccola ricompensa o che, con i loro pancini gonfi, abiti stracciati e visi sporchi, gironzolano attorno le piante della casa parrocchiale nella speranza di raccogliere qualsiasi sorta di frutto commestibile. In missione, i bambini che frequentano l’asilo così come i ragazzi del doposcuola ricevono un pasto, che consumano con gratitudine solo dopo che tutti sono stati serviti. In un mondo ove i genitori hanno altre preoccupazioni, il ricevere una caramella, un palloncino da far volare, una corda con cui saltare, un pallone con cui giocare, sono motivo di gioia e se, al primo approccio un po’ timidi, quando ti rivedono ti accerchiano, si aggrappano a braccia e gambe, cercando di saltarti in braccio. Gli adulti, se ricevono un cappellino o una maglietta, la indossano con orgoglio nel giorno di festa; alcuni ci confidano le loro toccanti storie di orfani, altri il loro desiderio di migliorare l’inglese o di poter conseguire la patente di guida per trovare un lavoro più remunerativo, di un altro sappiamo aver camminato sette ore per recarsi al lavoro ed altrettanto per ricongiungersi alla famiglia nel fine settimana. La domenica, l’intera comunità ci accoglie festosamente, fra suoni di tamburo, balli, strette di mano e sebbene la messa, nelle comunità lontane, sia celebrata in semplici chiesette con pavimenti in terra battuta, pareti di piccoli pali di legno con spifferi ovunque, tetti in lamiera e panche improvvisate, siamo persino invitati ad un pranzo cui non possiamo rifiutare. Ci ritroviamo così a consumare, con grande imbarazzo, pollo con riso bollito seduti intorno ad un tavolo all’aperto mentre tutti loro, radunati sotto l’albero accanto e seduti per terra, consumano semplicemente un bicchiere della bevanda locale ottenuta dalla fermentazione della farina di granoturco. Capita anche di andare in soccorso in un villaggio nella foresta – a 40 km di distanza – nel tentativo di riparare il pozzo fuori uso e di venire per questo ricevuti a festa, o di partecipare all’inaugurazione e alla benedizione – anche da parte dello stregone – di un altro pozzo, poco lontano dalla missione; di vedere molte donne o bambini trasportare, per lunghi tragitti, pesanti secchi o taniche d’acqua sulla testa oppure ancora di dover noi stessi percorrere 20 km per rifornire di acqua potabile la missione. Acquisiamo così ancor maggiore consapevolezza di quanto sia preziosa l’acqua, così come ci rendiamo conto che, qui, anche il pane è un bene di lusso, tanto che per approvvigionarcene dobbiamo percorrere almeno 30 km. Il recuperare la posta ed il far spesa implicano invece guidare per 70 km lungo una strada a dir poco dissestata,  ma ci consentono di ammirare, lungo il percorso, la vegetazione ed i piccoli villaggi sparsi ivi immersi, i  rivenditori improvvisati di gasolio in bottiglie, carbone, frutta o pollame. A destinazione, alla vista dell’oceano con la sua profonda spiaggia e la sua immensa bassa marea,  delle sue mille incantevoli sfumature di blu che si fondono all’orizzonte con il cielo e su cui si stagliano la figura di un barcone da pesca a remi ed i pescatori a riva che tendono le reti, delle palme e della sabbia bianchissima, riflettiamo su quanto possa essere perfetta l’armonia fra l’uomo e l’ambiente circostante ed ammiriamo, incantati, l’incomparabile bellezza di una natura ancora incontaminata. E’ luglio ed in Mozambico è inverno, alle sei di sera è già buio. Il televisore fortunatamente non funziona, dopo cena si fa pertanto una bella chiacchierata e poi, prima di andare a letto, non si può fare a meno di soffermarsi in contemplazione dell’oscura e limpida volta celeste tempestata di stelle lucenti ed in ‘ascolto’ del totale silenzio, interrotto solo dal fruscio delle foglie al vento o dagli uccelli notturni. La sveglia non occorre, qui la vita è cadenzata dal sole, i ritmi non sono frenetici, le priorità ma anche i valori sono altri. E’ un altro mondo: più povero e più semplice, ma sicuramente più vero e più genuino. Ci ha accolto a braccia aperte ma, dopo tre settimane, arriva l’ora di partire e, nel momento di salutare tutti, vani sono i tentavi di ricacciare indietro le lacrime. Lo lasciamo con grande malinconia, consci del fatto che il contributo dato è stato minimo rispetto a quanto abbiamo ricevuto in cambio.

                                                                       Stefania e Gian Luca

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