Marco Zanon è un volontario Fidei Donum della diocesi di Venezia che si trova ormai da quasi dieci anni in Bolivia, unica presenza italiana rimasta all’Hogar “Santa Maria de los Angeles” di Santa Cruz de la Sierra, un’istituzione sociale dedicata all’infanzia in difficoltà, fondata dal nostro padre Giuseppe Minghetti nei primi anni 2000. Marco tiene un blog ed una pagina facebook dove racconta, in italiano per gli amici italiani, la quotidianità del posto a cui ha dedicato la vita. Riportiamo qui una delle ultime cose pubblicate che ci spiega che quello che per noi nei mesi scorsi è stato difficile, in Bolivia sta diventando, per tanti, ancora più difficile… e ci aiuta a continuare a pensare missionario su questa pandemia mondiale.
La quarantena continua…
Ieri a Santa Cruz hanno prolungato fino a fine mese la quarantena “rigida” che prevede, tra le altre cose, la possibilità di uscire solamente una volta a settimana fino a mezzogiorno in base al numero finale del documento d’identità, la mancata circolazione dei mezzi di trasporto pubblico mentre per quelli privati è necessario un permesso, la chiusura delle scuole e l’obbligo di mascherina per entrare nei negozi e nelle banche. Confesso che questa disposizione mi ha fatto tirare un respiro di sollievo perchè il numero giornaliero dei contagi continua a salire così come quello dei morti nonostante questo provvedimento sia in vigore da fine marzo.
Le ragioni per cui questa misura sembra non funzionare sono tante ma la principale è che la gente è stanca, ha fame e non può più permettersi di restare a casa e di non lavorare poichè gran parte della popolazione vive di quello che guadagna in giornata ed i pochi risparmi sono terminati. Ho visto agli incroci tante famiglie chiedere l’elemosina: la scena che più mi ha fatto pensare è quella di un padre che mostrava un cartello con cui chiedeva un aiuto per dar da mangiare ai suoi bambini visto che un lavoro non ce l’ha più mentre i suoi due figli, di cui il più grande avrà avuto massimo sei anni, erano qualche metro più in là e, tenendosi per mano, sollevavano una vecchia pentola per farla vedere ad ogni auto che gli passava di fianco. Una visione straziante che mi fa capire quanto sia grave la situazione: sono sempre di più che si avvicinano ai veicoli fermi ai semafori o alle file di gente che aspetta di entrare al supermercato o in banca tendendo la mano sperando in qualche spicciolo o in un tozzo di pane, in molti tentano la sorte vagando per le strade anche durante le ore di coprifuoco… Davvero mi sento impotente davanti a tutto questo, il mio cuore si riempie di tristezza e compassione perchè ho la consapevolezza che non si può aiutare tutti e le autorità non hanno i mezzi sufficienti per far fronte a questa situazione. Se si somma poi il fatto che il sistema sanitario sta collassando, come i laboratori di analisi dei tamponi, perchè il personale è decimato per il contagio mentre il numero dei pazienti cresce sempre di più, lo scenario non è dei migliori ma la speranza rimane ed è più viva che mai: ci sono arrivati molti aiuti e mi piace l’idea delle “ollas comunes” in cui interi quartieri ed alcune imprese raccolgono del cibo e lo cucinano in grandi pentoloni per sfamare chi si trova in necessità, ho l’impressione che questa situazione abbia aperto il cuore a molti.
Questa settimana sono uscito un paio di volte per delle commissioni: per la prima volta dopo più di due mesi sono stato al supermercato, mi pareva di essere nel paese dei balocchi perchè potevo comprare finalmente quello che volevo, la sola idea mi elettrizzava parecchio! Poco importa se non ho trovato tutto quello che avevo bisogno per preparare qualcosa di buono ai ragazzi (per esempio non c’era la carne tritata ma ho imparato a farla a mano in hogar) ma guardando per le strade ho capito quanto era fortunato a poter fare la spesa dove e come volevo, finora mi era “toccato” andare nella bottega della piazza più vicina ed accontentarmi di quello che trovavo, a volte rinunciando a qualcosa perchè troppo caro rispetto alla città: non posso fare a meno di pensare ai miei vicini, a coloro che si possono muovere soltanto a piedi o in bici, a chi i soldi li ha finiti e posso solo gioire per il fatto di poter riempire un carrello con le cose che mi piacciono e che finalmente posso comprare quando in tanti non possono fare altrettanto.
Mi hanno colpito i controlli all’ingresso del negozio: si procede in fila indiana, si entra dentro una cabina che spruzza del disinfettante dalla testa ai piedi, successivamente si puliscono le scarpe su una serie di stracci bagnati di acqua e alcool che porta davanti ad un addetto con addosso una tuta di protezione che misura la temperatura corporea e controlla che il numero finale del tuo documento di identità coincida con il giorno in cui è permesso circolare, pena il divieto di entrare così come nel caso non si indossi la mascherina. Non riesco a capire se è un eccesso di zelo, che stride con quanto ho conosciuto finora di questa realtà, e resto sorpreso che non incontri da nessuna altra parte, nemmeno in farmaci, accertamenti così meticolosi.
L’altro giorno mi ha stupito in positivo lo spirito d’iniziativa dei boliviani: attualmente la maggioranza dei negozi sono chiusi e di conseguenza lo sono quelli che posso definire come centri commerciali specializzati in un determinato settore, come ad esempio l’informatica. Avevo bisogno di comprare l’inchiostro per le stampanti e vedere la possibilità di acquistare un pc portatile per sostituire il mio visto che sta presentando alcuni problemi difficilmente risolvibili ed ho scoperto che i rivenditori, impossibilitati a vendere nei propri locali, avevano affittato delle stanze nelle immediate vicinanze di questi agglomerati specializzati per poter continuare la propria attività o lo facevano lungo il marciapiede con la possibilità di reperire quello di cui aveva necessità il cliente nel magazzino posto a qualche centinaio di distanza. Ho apprezzato molto il loro modo di aguzzare l’ingegno proprio in un periodo così difficile, anche perchè così ho trovato una soluzione ai miei problemi sebbene non fosse così immediata come avrei voluto.
Uscendo ho constatato con un pizzico di amarezza che non ci sono più militari a pattugliare le strade, sembra ormai che si siano rassegnati al fatto che di mattina la gente sale senza rispettare alcuna restrizione, è un pugno in un occhio vedere che c’è chi si protegge indossando una tuta simile a quelle viste in tanti film di fantascienza ed altri che invece non si mettono nemmeno la mascherina, è difficile non notare le lunghe file davanti le banche e sembra che il tempo scorra lentamente mentre aspetti sotto il sole il turno per comprare delle medicine.
In entrambe le occasioni, tornato a casa sono subito corso a disinfettarmi mentre la mente non cessava mai di ripensare a quanto visto e mi è risulta tuttora difficile pensare che tutto questo sia reale e non un brutto sogno, posso solo ringraziare di stare bene così come i ragazzi e di avere tutto quello che ci serve: mi viene da sorridere pensando che davvero questo rappresenti davvero una fortuna e l’unico vero motivo che ci basta per essere felici.